La CGIL ha visto nel corso degli ultimi anni una notevole emorragia di iscritti. Una tendenza che ora il maggior sindacato italiano prova a contrastare con le cosiddette “scuole del popolo”. Di che si tratta? In pratica le sedi della CGIL vengono trasformate in vere e proprie scuole di formazione politica. Una soluzione che nel corso del dopoguerra caratterizzò il PCI, il partito di cui la CGIL è stata a lungo l’emanazione sindacale.
Le “scuole del popolo” anche a Roma
Ora, le “scuole del popolo” arrivano anche nella capitale, oltre che in altre parti del Lazio, come Rieti, Guidonia e Tivoli. A Roma, in particolare, sarebbero interessati i municipi dal terzo al settimo, ove l’iniziativa partirà con una serie di corsi gratuiti.
Tra le materie oggetto di insegnamento ci saranno quelle informatiche, i mass media e il rapporto con l’opinione pubblica, l’inglese e il rapporto tra economia e Costituzione. Cinque di questi corsi avverranno in Via Lino da Parma, presso la Camera del Lavoro, mentre un sesto avrà luogo a Villa Adriana, a Tivoli.
La CGIL e la necessità di veicolare cultura politica
L’iniziativa della CGIL sembra rispondere all’esigenza di veicolare quella cultura politica che è andata scemando nel corso degli ultimi decenni. Non sono pochi gli osservatori che proprio alla sua mancanza fanno risalire la crisi della sinistra politica e sindacale.
Una mancanza resa evidente dalla fine del PCI, che proprio su questa esigenza aveva istituito la sua famosa scuola di formazione politica delle Frattocchie. Molti dei dirigenti del partito fondato da Antonio Gramsci si erano formati in questa scuola ormai entrata nella mitologia della sinistra. Basti pensare a nomi come Luciano Barca, Gabriele De Rosa, Antonio Tatò, Giglia Tedesco, Pio La Torre, Marisa Cinciari, Alessandro Natta, Luciana Viviani, Alfredo Reichlin e Maria Antonietta Macciocchi. Una lista che fa capire l’importanza di formare personale politico e sindacale.
La crisi della CGIL
L’iniziativa della CGIL si spiega anche con la crisi del sindacalismo in Italia. Basti pensare che nel corso del 2018 proprio il sindacato capeggiato da Maurizio Landini ha perso oltre 400mila iscritti. Una tendenza che dovrebbe essere stata confermata nel corso dell’anno appena chiuso, anche se ancora non sono stati ufficializzati i dati.
Una vera e propria fuga derivante da una serie di scelte criticabili, tali da appannare l’immagine della CGIL, ormai vista come un sindacato troppo appiattito sulle politiche dei governi amici. Tanto da spingere molti militanti a non gradire la mancanza di un’opposizione incisiva su scelte come quella di eliminare l’articolo 18, operata con il Jobs Act. Una fuga cui ora la CGIL cerca di porre riparo con le “scuole de popolo”. Basterà?