Alla morte di Antonino Pio, nel 161, il re partico Vologese IV decise di attaccare l’Armenia. La situazione, dopo gli anni di pace di Antonino, era tornata ad essere critica sul fronte orientale. Il nuovo imperatore Marco Aurelio decise di affidare la campagna al co-imperatore Lucio Vero, collega di Marco. Vennero messe insieme legioni, reparti ausiliari e distaccamenti (chiamati vexillationes) da ogni parte dell’impero.
L’imperatore, aiutato dal comandante Avidio Cassio, raccolse un successo dopo l’altro, arrivando fino alla capitale partica Ctesifonte. Ma, quando i romani presero Seleucia (di fronte alla capitale, dall’altra sponda del Tigri), i romani entrarono in contatto con una tremenda epidemia che imperversava in città. La peste antonina, come l’hanno definita gli storici, scoppiata nel 165, provocò milioni di morti (Cassio Dione riporta oltre 2.000 morti al giorno solo a Roma), stimati in circa un terzo o un quarto della popolazione dell’impero.
Un tale impatto demografico, sebbene in parte contestato dagli studiosi in base a rinvenimenti papiracei ed epigrafici, è senza dubbio una delle principali cause delle difficoltà dell’impero romano a partire dall’età di Marco Aurelio.
Dalla fine del II secolo d.C., i romani cominciarono perciò ad accogliere gruppi barbari all’interno dell’impero, sia sconfiggendoli in guerra, sia facendo accordi con i capi; lo scopo era principalmente di ottenere manodopera per coltivare terre disabitate prima, e di reclutare nuovi soldati poi. In tale quadro si può anche comprendere la Constitutio Antoniniana del 212 d.C., che permetteva, come sottolineato da Cassio Dione, di aumentare le entrate tributarie (e di reclutare più soldati per le legioni). Ciò che appare tuttavia difficilmente spiegabile è – nonostante i bassi tassi di aumento della popolazione dovuti all’alta mortalità infantile – il persistere di fenomeni di depopolamento in alcune aree dell’impero.
Con l’istituzione della tetrarchia e il rinvigorimento dell’impero dopo la crisi del III secolo si assistette a vere e proprie spedizioni punitive oltre confine per assoggettare popoli barbari e deportarli per coltivare la terra, fare i soldati e venderli come schiavi (pare che Costantino abbia insediato in Italia ben 300.000 sarmati). Tuttavia, da Costantino, e specialmente dopo la sanguinosissima battaglia di Mursa Maggiore alla metà del IV secolo tra Costanzo II e Magnezio, che vide la morte di decine di migliaia di soldati, la situazione – complice il ritiro di molte truppe dalla frontiera per via del nuovo sistema difensivo limitaneo-comitatense (basato su una difesa in profondità: una prima linea di difesa formata dai limitanei per minacce di bassa intensità o per rallentare nemici più agguerriti, poi affrontati dai reparti mobili chiamati comitatensi e d’elitè, i palatini) – appariva disperata già alla metà del IV secolo sul fronte renano. Non è un caso dunque che quando avvenne la grande migrazione del 406 i romani non riuscirono ad opporre un’adeguata resistenza.
Peste, ma in realtà vaiolo
Non disponiamo di dati certi, ma le descrizioni fornite da Galeno, testimone oculare della malattia, oltre ad approfondimenti moderni, hanno fatto ritenere in modo condiviso che si sia trattato di un’epidemia di vaiolo. Quest’ultimo ha una mortalità di circa il 30%. Gli antichi avevano l’abitudine di chiamare ricorrentemente queste epidemie “peste”, come nel caso di quella scoppiata ad Atene durante la Guerra del Peloponneso (probabilmente tifo) o quella di Giustiniano alcuni secoli dopo.
La pestilenza, contratta dai legionari romani a Seleucia durante la campagna partica di Lucio Vero e Avidio Cassio (secondo la leggenda lanciata dalle maledizioni dei magi caldei presenti in cittòà), si propagò con inaudita ferocia grazie alle legioni di ritorno nelle loro sedi e alle molte vexillationes (piccoli reparti distaccati dalle legioni). È estremamente difficile fornire dati precisi, ma è possibile affermare che la peste antonina restò endemica nei decenni seguenti, colpendo ancora vent’anni dopo il 15% dei membri di un collegio nell’Austria Romana (AE 1994, 1334; anno 184 d.C.). Ancora nel III secolo ci saranno nuovi casi e lo stesso imperatore Claudio II il Gotico morì per la malattia.
Si suppone che anche l’imperatore Marco Aurelio, impegnato a combattere per anni contro i barbari marcomanni e quadi lungo il Danubio, abbia contratto la malattia e si sia lasciato morire il 17 marzo 180. Nel 190, infine, ci furono ben 25 consoli: causa della malattia o della follia di Commodo?
«[…] a sua discrezione [di Commodo] persino dei liberti venivano ammessi al rango senatorio o patrizio, e allora per la prima volta si ebbero venticinque consoli in un solo anno e il governo di tutte province fu offerto in vendita.»
Historia Augusta, Commodo, 6, 6-9
Cosa accadde realmente?
Riguardo gli effetti di lungo periodo della peste antonina Niebuhr scrisse a metà del XIX secolo che la peste antonina colpì con incredibile furia, mietendo vittime innumerevoli e che il mondo antico non si riprese mai più. All’inizio del Novecento Otto Seeck insistette sulle moltissime vittime (secondo lui oltre la metà della popolazione dell’impero, stimata precedentemente in circa 60 milioni di abitanti) e che lo stanziamento dei barbari cambiò indelebilmente l’Europa. Boak, nel suo Manpower Shortage and the Fall of the Roman Empire in the West del 1955, dove studiava proprio la carenza di manodopera nell’impero, aggiunse che fu fondamentale integrare questi barbari per coltivare le terre e reclutare nuovi soldati. Gibbon e Rostovtzeff invece hanno considerato l’epidemia decisamente meno traumatica.
D’altra parte, Gilliam sostenne nel 1961 l’inattendibilità di queste asserzioni, mettendo in evidenza la scarsezza di fonti a riguardo, e mettendo in guardia dalle esagerazioni delle fonti, in specie Orosio, Eutropio e Gerolamo. Allo stesso modo secondo lui non eistono prove degli effetti devastanti sull’esercito e lo spopolamento dell’Egitto; la rivolta dei Boukòloi sedata da Avidio Cassio nel 172-3 avrebbe motivazioni fiscali e la fuga dalle campagne egizie del periodo (in alcuni casi secondo i papiri anche il 90% della popolazione) non sarebbe confermata. Infine, Gilliam aggiungeva che lo stanziamento di barbari nell’impero era attestato anche prima, sotto Augusto e Nerone.
Pertanto, storici e archeologi sono divisi a riguardo da secoli: chi propende per un effetto contenuto dell’epidemia e chi invece ne sottolinea gli effetti drammatici. Dato il notevole risalto dato dai romani all’insediamento di nuovi coloni barbari, la mutazione del sistema schiavistico fondiario in uno colonale (dunque su contadini liberi sebbene asserviti) e il sempre maggiore ricorso a reclute barbariche, siamo certi che l’impatto della peste antonina sia stato realmente così poco importante?