Roma: niente auto in giro per il lockdown, ma l’inquinamento aumenta, perchè?

A Roma i livelli di polveri sottili nell’aria, cioè l’inquinamento atmosferico sono sempre uno dei problemi che più affliggono la Capitale. Sembrava però che per via del blocco alla circolazione, con inevitabilmente meno auto in giro, almeno dal punto di vista ambientale qualche vantaggio dovesse pervenire.

Invece niente, sembra addirittura che si stia verificando il contrario, cioè che l’inquinamento aumenti. Ed è una cosa strana dal momento che nelle settimane precedenti l’emergenza coronavirus, le domeniche ambientali, con le zone a traffico limitato e i blocchi auto a fasce orarie nascevano proprio in questa ottica, cioè il ridurre le emissioni inquinanti. Ma adesso sembra che nonostante i divieti di circolazione, benefici ambientali non ne sopraggiungono.

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Roma un caso isolato

Le stringenti limitazioni ai movimenti imposti dal governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus, ben più pesanti delle domeniche o delle giornate ambientali a cui i romani erano abituati, in base ai dati di Arpa Lazio, non producono benefici a livello ambientale. Un caso anomalo quello di Roma, perché il lockdown imposto in altre grandi metropoli del mondo, sembrano sortiscano effetti positivi in materia ambientale, tranne che a Roma. In pratica, anziché diminuire, l’inquinamento tende ad aumentare. Ma perché?

Secondo Arpa Lazio, la motivazione è di carattere meteorologico. A Roma i livelli di Pm10 non si sono ridotti di molto e anzi, in alcuni giorni delle scorse settimane, hanno superato di molto i dati registrati nello stesso periodo degli scorsi anni mentre come dicevamo, a New York piuttosto che a Los Angeles, a Londra piuttosto che a Madrid e addirittura anche a Wuhan, tali livelli sono scesi rispetto allo stesso periodo degli anni passati.

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Secondo Arpa Lazio, questo dipende dal fatto che il clima ha costretto i romani ad un forte utilizzo dei riscaldamenti domestici. In città calde è evidente che i cittadini abbiano usato meno i riscaldamenti. Una spiegazione che regge fino ad un certo punto, dal momento che non si può dire che Londra o New York siano città più calde di Roma. Altra spiegazione fornita da Arpa è che nel mese di marzo 2020, le condizioni meteo in Italia sono state influenzate da venti che hanno portato sabbia dal deserto del Sahara e dalla regione Caucasica, e questo ha determinato un innalzamento delle polveri ne quindi dei valori di PM10.

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